Il ruolo segreto degli Stati Uniti nella guerra in Ucraina

Gli Stati Uniti, sin dal principio, sono stati coinvolti nella guerra in Ucraina in maniera profonda. O, se preferite, più di quanto sia stato detto, pubblicamente, dal 2022 a oggi. Lo rivela una lunga, lunghissima indagine del New York Times basata su oltre 300 interviste condotte con funzionari governativi e militari, personale di intelligence e altri testimoni diretti provenienti da Stati Uniti, Ucraina, Regno Unito, Germania e altri Paesi alleati.
Washington, nello specifico, ha firmato una sorta di partnership strategico-militare con Kiev poco dopo l’invasione su larga scala da parte dell’esercito di Mosca. A Wiesbaden, in Germania, per la precisione. Una partnership che, per tutto questo tempo, ha rappresentato la spina dorsale delle operazioni militari ucraine.
Il centro delle operazioni
Dicevamo di Wiesbaden. La città, non molto lontana da Francoforte, è sede di una base americana. Trasformatasi, con lo scoppio della guerra, in un centro operativo cruciale per il conflitto ucraino. Qui, insomma, ufficiali americani e ucraini hanno lavorato gomito a gomito. Condividendo schemi, mappe e dati in tempo reale. A guidare le operazioni figure di spicco come il generale Christopher Cavoli, a capo del Comando europeo statunitense, e il tenente generale Antonio Aguto, suo stretto collaboratore. Per tacere del generale Christopher Donahue.
Washington, riassumendo al massimo, non si è limitata a supervisionare le operazioni ucraine. Al contrario, gli Stati Uniti hanno attivamente co-progettato le iniziative di Kiev trasformando, di fatto, Wiesbaden in una «stanza di guerra» transatlantica.
Gli Stati Uniti hanno messo a disposizione un arsenale di intelligence senza precedenti. Satelliti a stelle e strisce, per intenderci, hanno sorvegliato costantemente il campo di battaglia, producendo immagini dettagliate delle posizioni russe. E ancora: grazie alle intercettazioni elettroniche fornite da Washington è stato possibile ottenere le comunicazioni fra i comandanti russi. Gli analisti hanno lavorato senza sosta per trasformare questi dati in informazioni utili. Informazioni, leggiamo, trasmesse agli ucraini tramite sistemi di comunicazione criptati e che, in questi anni di guerra, sono giunte direttamente ai comandanti sul campo e persino ai soldati nelle trincee, spesso sotto forma di coordinate precise per attacchi con droni o missili HIMARS. Missili a loro volta forniti dagli USA. Un livello di integrazione tale, scrive il New York Times, da rendere gli americani non solo sostenitori ma, appunto, co-protagonisti delle operazioni militari ucraine.
L'obiettivo della partnership
L’obiettivo primario di questa partnership? Semplice: consentire all’Ucraina di sfruttare al massimo le sue limitate risorse contro la schiacciante superiorità numerica e logistica della Russia. Mosca, sin dal principio, poteva infatti contare su un esercito più grande, su riserve di munizioni abbondanti e su un’industria bellica attiva, mentre l’Ucraina dipendeva (e dipende) fortemente dal sostegno occidentale. Gli Stati Uniti hanno cercato di colmare questo divario non solo con armi, ma con una strategia sofisticata che combinava intelligence, pianificazione e tecnologia.
Un esempio emblematico è la controffensiva ucraina su Kherson nell’autunno del 2022. Gli americani, riferisce il quotidiano statunitense, non si sono limitati a fornire i sistemi missilistici HIMARS, capaci di colpire a lunga distanza con estrema precisione: hanno anche analizzato le difese russe, identificando vulnerabilità come ponti e depositi di munizioni cruciali per le linee di rifornimento di Mosca. I generali a Wiesbaden hanno elaborato piani dettagliati, suggerendo tattiche specifiche e sequenze di attacco, che sono poi stati adattati dagli ucraini. Il successo di Kherson – la liberazione di una città strategica – è stato in gran parte attribuito a questa collaborazione.
Secondo stime del Pentagono riportate nell’articolo, il sostegno americano ha contribuito a infliggere oltre 700 mila perdite (fra morti e feriti) alle forze russe, una cifra che supera i 435 mila uomini dichiarati ufficialmente dall’Ucraina. Questo divario riflette sia la difficoltà di ottenere dati precisi in tempo di guerra, sia l’efficacia devastante degli attacchi ucraini guidati dall’intelligence USA.
Le tensioni fra Zelensky e gli americani
Nonostante i successi, la partnership non è stata priva di tensioni. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, sotto pressione per mantenere il morale della popolazione e il sostegno politico internazionale, ha spesso spinto per operazioni rapide e «visibili», anche a costo di rischi elevati. Gli americani, invece, hanno privilegiato un approccio più cauto e metodico, mirando a risultati sostenibili nel tempo.
Un caso emblematico è proprio la pianificazione della controffensiva di Kherson. Zelensky ha insistito per lanciare l’attacco il prima possibile, vedendolo come un simbolo di resistenza e un modo per galvanizzare l’opinione pubblica globale. I generali americani, per contro, hanno consigliato di accumulare più risorse e attendere il momento ottimale, temendo che un fallimento potesse indebolire la credibilità ucraina. Alla fine, Kiev ha prevalso e l’operazione è riuscita, ma il dibattito ha rivelato una differenza di visione: per l’Ucraina, la guerra era e rimane una questione di sopravvivenza immediata; per gli Stati Uniti, al contrario, era ed è un gioco strategico a lungo termine contro la Russia.
Questa tensione si è intensificata nel 2024, quando la guerra è entrata in una fase di logoramento. Con le linee del fronte stabilizzate e le risorse ucraine sotto pressione, i generali Cavoli e Aguto, da Wiesbaden, hanno proposto una strategia più che altro difensiva per il 2025. L’idea? Consolidare le posizioni esistenti, proteggere le città chiave e ricostruire le forze in vista di una futura offensiva, evitando sprechi in attacchi prematuri contro un nemico ancora resiliente. Zelensky, al contrario, ha continuato a premere per azioni più aggressive, sperando di mantenere lo slancio e dimostrare che l’Ucraina poteva ancora vincere sul campo. Questo contrasto, spiega il New York Times, riflette non solo priorità diverse, ma anche la dipendenza ucraina dagli Stati Uniti, che controllavano gran parte del flusso di armi e intelligence.
L'aspetto etico
Un aspetto centrale dell’inchiesta è proprio il dettaglio sul contributo dell’intelligence americana. Oltre alle immagini satellitari, gli Stati Uniti hanno fatto uso di droni di sorveglianza, intercettazioni telefoniche e persino analisi dei movimenti di truppe russe basate su fonti aperte e segrete. Queste informazioni venivano trasformate in «pacchetti di targeting» – elenchi di obiettivi specifici, come comandanti russi o depositi di carburante – che gli ucraini potevano colpire con precisione chirurgica. In alcuni casi, gli americani hanno fornito dati così dettagliati da determinare l’esito di singoli scontri, come l’eliminazione di generali russi.
Questo livello di coinvolgimento solleva, oggi, questioni etiche e geopolitiche. Pur non avendo truppe sul campo, gli Stati Uniti sono diventati parte integrante della «catena di uccisione» di Kiev, un termine usato dal New York Times per descrivere il processo che va dall’identificazione di un obiettivo al suo abbattimento. Ciò ha alimentato dibattiti interni a Washington sul rischio di escalation: se Mosca avesse considerato gli USA un belligerante diretto, avrebbe potuto reagire, magari con attacchi informatici o azioni nel Mar Nero. Inoltre, il flusso costante di intelligence ha reso gli ucraini dipendenti da un alleato che, in teoria, poteva interrompere il supporto in qualsiasi momento per ragioni politiche interne. Cosa che, con l’arrivo di Trump, in parte è accaduto.
Un rapporto asimmetrico
Gli Stati Uniti, a ogni modo, non hanno agito da soli. Il Regno Unito fra gli altri ha avuto un ruolo cruciale, come dimostrato dall’operazione del 2022 per trasportare due generali ucraini da Kiev al confine polacco. I commandos britannici, probabilmente delle forze speciali come il SAS, hanno eseguito la missione, ad alto rischio, attraversando territori controllati o contesi dai russi. Un episodio che evidenzia come la NATO, pur non essendo ufficialmente coinvolta, abbia visto i suoi membri principali collaborare strettamente con l’Ucraina, condividendo risorse e rischi.
Concludendo, l’inchiesta del New York Times dipinge un ritratto complesso di una partnership che, concretamente, ha trasformato il corso della guerra ucraina. Wiesbaden emerge come il simbolo di questa alleanza segreta, un luogo dove tecnologia, strategia e volontà politica si sono fuse per dare all’Ucraina una possibilità contro un avversario apparentemente imbattibile. I successi, come Kherson, e le perdite inflitte alla Russia testimoniano l’efficacia di questa collaborazione, ma le tensioni tra Zelensky e i generali americani rivelano anche i limiti di un rapporto asimmetrico.